ODI ET AMO. Ma anche no

di Cino Casson –

La discussione aperta da un articolo su “Repubblica” di Massimo Recalcati ha portato in evidenza i temi dell’odio e dell’amore (nel caso specifico verso Matteo Renzi). Stimo molto Recalcati e capisco che per uno psicanalista l’analisi dei sentimenti sia importante, ma credo che, in politica, le antinomie “odio-amore”, “attrazione-repulsione” e simili debbano essere escluse. Un grande filosofo della politica, Carl Schmitt (la cui forza argomentativa non è inficiata dalla sua adesione al nazismo) afferma che la politica vive dell’antinomia “amico-nemico”: non sono d’accordo, anche le categorie di “amico” e “nemico” sono viziate dal prevalere del sentimento sulla ragione. E, infatti, l’atteggiamento dei “nemici” di Renzi è fortemente condizionato da sentimenti (pulsioni?) o da altre motivazioni irrazionali e, spesso, irragionevoli.

Normalmente si amano le persone con le quali vi è un legame affettivo, uomo e donna (ma anche uomo-uomo e donna-donna), un legame biologico, genitori, figli, fratelli, un legame amicale, persone dalle quali ci si aspettano soltanto atti benevolenti. Si odiano  – l’odio è un sentimento più forte dell’amore, può esistere un amore tiepido, ma l’odio è sempre rovente – quelli che hanno fatto del male a noi o alle persone che amiamo. Con i rapporti politici non hanno nulla a che fare.

In un mio libro ho scritto che provo verso Berlusconi una avversione antropologica. Lo sento talmente estraneo a tutto ciò che per me conta, che mai potrei esserne amico. Non odio.  Perché Berlusconi non ha fatto del male né a me né ai miei cari. Sul piano politico lo considero un pessimo governante e, per questo, mai lo voterei.

Chi non apprezza l’agire politico di Renzi non lo voti: che bisogno c’è di presentarlo come un farabutto, meritevole di odio? Io non ho sentimenti di simpatia per Renzi; dubito che potrei essergli amico. Sul piano politico apprezzo molte delle sue idee (meno sul come ha tentato di realizzarle). Ho sempre cercato – naturalmente non pretendo di esserci sempre riuscito – di ragionare senza acrimonia; rispetto tutti, ma non provo reverenza verso alcuno, non mi appartengono adesioni acritiche ad alcun campo, né riconosco alcuna “sacralità”. Ho sostenuto Renzi, senza nascondere quanto in lui non mi piace, perché vedevo in atto un tentativo da incoraggiare: quello di dare al PD una identità innovativa, depurandolo da tante scorie ideologiche e politiche che considero zavorra. Non ho mai apprezzato i modi, non si “rottamano” le persone, non si “asfaltano” gli avversari. Le idee e le proposte politiche, però, sì, si possono e devono rottamare quando si rivelano inadeguate. Non “sbagliate”, inadeguate.

Le persone, invece, invecchiano ed è bene che lascino i posti di comando ai più giovani, riservandosi, quando ne hanno le capacità, ruoli di secondo piano. Uno come D’Alema, insomma, con la sua intelligenza e la sua competenza politica sarebbe un ottimo “consigliori”: purtroppo vuol essere sempre un “padrino”. Renzi ha scritto una prefazione, piuttosto presuntuosa, alla riedizione del classico di Norberto Bobbio “Destra e sinistra”, sostenendo che la diade di Bobbio sarebbe superata dalla nuova diade “innovazione-conservazione”: non mi ha convinto del tutto. Credo anch’io che il paradigma di Bobbio – il mio primo maestro – quello dell’eguaglianza come discrimine tra destra e sinistra non sia più sufficiente, ma neppure innovazione è – in sé – migliorativo: si può innovare solo per stare nel “mainstream” e si può voler conservare qualcosa che vale ancora.

Io sono un ossimoro, un “relativista assoluto”, non credo ad alcuna verità, ma solo coltivo ragionevoli approssimazioni, che possono rivelarsi fallaci al mutamento di circostanze. Apprezzavo molte delle proposte di Renzi, nel momento in cui – con uno stile pessimo ma con l’avallo pressocché unanime degli organi di partito – è andato a presiedere il governo; sapevo – contrariamente a molti illusi – che quel governo non sarebbe stato un governo “di sinistra” e nemmeno di centrosinistra: con Alfano? Nelle condizioni date quel governo ha prodotto quel che poteva produrre, insidiato più dal “fuoco amico” che da alleati riottosi.

Non mi dilungherò a spiegare perché “Jobs Act” e “Buona Scuola” siano due provvedimenti mediocri, ma respingo la “vulgata” che si tratti di leggi “di destra”. Incentivare con sgravi le assunzioni a tempo indeterminato non è di destra: è realistico, perché un imprenditore fa solo quel che gli conviene. Riconoscere un po’ – ma proprio un pochino – di discrezionalità decisionale a un dirigente non è di destra, ma l’affermazione del principio di responsabilità: non si può affibbiare a qualcuno la responsabilità di un servizio se non gli si dà autonomia decisionale. Il vero, e grande, limite della Buona Scuola è che non riforma programmi, articolazione delle materie, didattica, coerenza tra scuola superiore e Università. E non è “di destra” il rapporto conflittuale con i sindacati, che – soprattutto la CGIL – pretenderebbero di essere considerati interlocutori paritari del governo; ciascuno deve fare il suo mestiere e quello dei sindacati è chiaramente definito dall’art. 39 della Costituzione. Renzi ha peccato nello stile, ha manifestato una deplorevole insofferenza, ma che dire di una leader sindacale che indossa una maglietta con la scritta “Arrogance, profumo di premier”? Il premier, anche se non piace, rappresenta gli italiani, il segretario di un sindacato rappresenta i suoi iscritti: non sono “pari” sul piano istituzionale. Quando, poi, si definiscono i “voucher” un attacco alla democrazia siamo nel delirio: o cretineria o malafede. Più facile entrambe. Quando il disperante Speranza dà l’altolà a Pisapia per un gesto di amicizia a Maria Elena Boschi – “Il nostro popolo non capirebbe” –  è soltanto patetico. Il “loro” popolo è quello che ha votato destra e 5S. E non per il Job Act o la Buona Scuola, ma perché costretto a convivere, nelle periferie, con gli aspetti peggiori dell’immigrazione. Perché non sopporta di vedere tanti piccoli – e non solo piccoli – delinquenti violenti rimessi in libertà dopo un giorno di fermo. Perché si sente vessato da un sistema fiscale che è inflessibile con i piccoli evasori e non sa stanare i grandi evasori. Perché si sente più protetto dai “boss” di quartiere che dalle forze dell’ordine. Un popolo “di sinistra” che chiede risposte “di destra”: La verità è che non esistono popoli di sinistra o di destra, ma frazioni di popolazione che comprendono solo – e non è una colpa – quello che accade sotto casa. Il “popolo di sinistra”, siamo noi, che viviamo in case confortevoli, in quartieri tranquilli, con un discreto reddito, che leggiamo giornali e qualche libro e che apprezziamo i ragionamenti complessi perché abbiamo la cultura per comprenderli: una esigua minoranza.

Per gli Speranza e i Gotor (quanto mi sta sui coglioni quel sedicente storico, miracolato da Bersani!) basta ripristinare l’art.18 per essere di sinistra. Come se l’art.18 potesse far crescere l’occupazione. Se la sinistra vuole affrontare il problema deve, innanzitutto, prendere atto che l’occupazione tradizionale diminuirà, fisiologicamente, man mano che aumenta l’automazione: è un processo irreversibile. E, se si troveranno strumenti e risorse per assicurare un reddito dignitoso a tutti, potrebbe essere anche un vantaggio. Lavorare meno per lasciare tempo ad attività più gratificanti e formative del lavoro. Perché il lavoro non è “dignificante”, non nella maggior parte dei casi. Che “realizzazione di sé” può essere sovrapporre mattone su mattone, servire duecento caffè, svuotare duecento pitali in ospedale, impilare duecento fogli dietro uno sportello bancario? Forse solo gli artisti trovano nel lavoro una ragione di vita (talvolta anche di morte); per la generalità degli esseri umani il lavoro serve a dare un reddito che permette di vivere. Continuare a sacralizzare il lavoro è uno dei grandi limiti dell’impostazione “socialdemocratica” di Bersani e Rossi, i soli “fuorusciti” per i quali porto rispetto (ma Bersani, ai tempi delle “lenzuolate”, diceva che essere liberali è di sinistra).

A questa impostazione Renzi ha cercato – maldestramente, ma meglio un passo maldestro in avanti che un passo sicuro all’indietro –di indicare questo nuovo paradigma alla sinistra, di far inforcare – lo so, è una immagine che ho spesso usato – gli occhiali adatti a vedere la realtà – bella e brutta – della modernità. Sì, bella e brutta; e bisogna accettarla tutta, non è possibile prendere solo il buono. Restando al tema del lavoro, il “lato oscuro” della “società liquida” è la precarietà. Dobbiamo accettare che il “tempo indeterminato” sia sempre meno una prospettiva per tutti; certo, ci vogliono “reti di protezione” che evitino lunghi periodi senza reddito, ma, per avere queste reti, occorre che l’economia si sviluppi positivamente, offrendo allo Stato un contributo fiscale sufficiente a finanziare le misure di welfare. Prima di parlare – spesso a vanvera – di reddito di cittadinanza o simili bisogna individuarne le coperture. Altra idea cara alla sedicente “sinistra-sinistra” (e ai sindacati) è considerare “lavoratori” solo i lavoratori dipendenti. Gli “autonomi”, quando non sono demonizzati come evasori, non sono considerati degni di tutela. Hai voluto la bicicletta – una attività indipendente – e allora pedala. E se buchi una ruota, cavoli tuoi. Se sei precario, chi se ne frega. Perché, se ci pensate, non c’è nessuno più precario di un lavoratore autonomo, il cui lavoro – e, quindi, il cui reddito – dipende dalle condizioni del mercato. Un libero professionista lavora se ha clienti, un commerciante se ha acquirenti, un artigiano se ha committenti. Ma di questo una certa sinistra non si preoccupa, considera l’idraulico che piega tubi in una impresa meritevole di conservare il lavoro a vita, anche se l’impresa non fa utili, mentre l’idraulico che piega tubi a casa nostra non merita alcuna tutela.

L’odio per Renzi, inoltre, si nutre di rancore, frustrazione, invidia. Il rancore di D’Alema per essersi visto negato un incarico, che, aggiungo per sincerità, avrebbe ben meritato. La frustrazione di Bersani per non essere riuscito a vincere un’elezione già vinta con una campagna elettorale “da sangue de naso”. L’invidia dei molti mediocri capetti e capataz per essersi visti scavalcati da altrettanto mediocri “fedeli” al segretario (e questo è stato, come ripete Cacciari, uno degli errori più gravi di Renzi). La scelta di costoro è stata quella di indebolire in tutti i modi l’unico (forse) in grado di esercitare sul serio una leadership, l’unico ad aver capito che la democrazia serve a niente se non approda a decisioni. Io non amo Renzi; se ci fosse qualcuno in grado di realizzare quello che lui ha tentato, di riformare la pubblica amministrazione, di rimettere ciascuno al posto che la Costituzione gli assegna, di riformare molti settori senza farsi condizionare (il che non significa senza tenerne conto) dalle aspettative, più o meno legittime, di chi in tali settori lavora, non me ne farei un problema.

Purtroppo i potenziali sostituti di Renzi mi sembrano o troppo deboli o troppo refrattari alla logica della decisione, resi tardigradi dall’ossessione delle “sintesi”, dal voler salvare sempre capre, cavoli e lupi. Una illusione. Come quella che, per citare un esempio a noi ben presente, affrontava i problemi ambientali di Porto Marghera all’insegna dello slogan “Coniugare salvaguardia e sviluppo”; con che si è ritardato il processo di salvaguardia e lo sviluppo … meglio stendere un tendone pietoso. O come quelli che vogliono salvare Venezia dall’invasione del turismo straccione, ma senza porre alcun limite, perché sarebbe poco democratico.

E, alla fine, e proprio per farmi altri antipatizzanti, dirò cosa penso della democrazia.

In più di duemila anni gli uomini (ma solo quelli di cultura occidentale, perché altre culture non sanno che farsene della democrazia) non hanno saputo inventare niente di meglio: perciò teniamocela e difendiamola, ma senza farne un valore assoluto. Un metodo, un rimedio alla “guerra di tutti contro tutti” della quale scriveva Hobbes, un sistema meramente quantitativo. Niente di sacro. L’ho già scritto, il sacro è qualcosa che non mi appartiene. E non mi appartengono, come categorie politiche, odio e amore. Liberté, égalité. Non fraternité. Perché la libertà è qualcosa che appartiene all’essere umano e l’eguaglianza dei diritti si deve garantire a tutti, anche a quelli che si detestano. La fratellanza, l’empatia, sono opzionali, si danno a chi si vuole, non sono un diritto, tanto meno un dovere. Buone vacanze.

Cino Casson

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