Se la politica non risponde Venezia morirà

Oggi in tutta la città si stanno raccogliendo firme per una sorta di sondaggio consultivo sull’annoso tema delle grandi navi, si sono mosse varie associazioni ed organizzazioni. Non vorrei affrontare questo tema perché credo sia per tutti notorio che un paio d’anni fa invitando il senatore Zanda abbiamo idealmente seguito la sua visione sulla non praticabilità di ulteriori scavi in laguna. Ed al di là delle distinte visioni interne io credo che scavare, vuol dire “scavare” al di là se si tratti di farlo per pochi o tanti metri.

Detto questo sono anche dell’idea che si debba trovare comunque sia,  una  definizione comune del problema e poi come partito dobbiamo decidere ed essere conseguenti, l’indefinizione comunque non paga.

Mi dispiace che una volta di più il fare politica in  città, che vuol dire”sentirla” e “viverla” e farsi sentire rappresentando i problemi che la gente vive quotidianamente, sia lasciato a tutto ciò che è fuori dal nostro partito.

Vorrei però che non solo ci esprimessimo su questo tema delle navi e della laguna, ma anche sul resto…i nostri consiglieri comunali stanno per esempio facendo una costante opposizione alla dissennata politica del non governare di questa giunta comunale: cambi d’uso, controllo flussi etc ma lo fanno in solitudine, il loro operare non risulta coordinato e parte di una maggiore strategia.

Noi iscritti nonché cittadini ne sappiamo poco e non ne sapremmo nulla se non fosse per facebook…ma un partito come il nostro non può pensare ad una vero e proprio sistema di informazione e comunicazione?

Guardando l’agenda degli ultimi giorni in città  poi, ancora una volta siamo scavalcati da gruppi ed associazioni che riescono a promuovere incontri e presenza, mentre noi facciamo molta fatica: il turismo ed il controllo dei flussi, il diritto alla casa, il lavoro, ed ancora la cultura (possibile che non riusciamo a promuovere l’incontro università e cittadinanza), l’innovazione..ed il futuro, noi dove siamo???

Per dirne una semplicissima vicina a noi, esco dalla sede Mezzalira e mi compro un cartoccio di patatine nella bottega al lato, due ragazzi sull’orlo di una crisi di nervi cominciano senza mia particolare sollecitazione a sfogarsi: lavoro massacrante: ore ed ore in piedi in mezzo all’olio fritto ed ai suoi fumi, lavoro mal pagato:  loro sono i “ working poor”, quelli che non possono di fatto mantenersi con i loro onorari, lavoro denigrante: nella bottega ci sono cineprese che riprendono ufficialmente l’entrata per sicurezza ma di fatto i lavoratori nel loro operato.  Non possono permettersi neanche di pagare l’iscrizione ad un  sindacato e quindi, tra l’altro nessuno li difende.

In questo grande exploit del binomio turismo/lavoro, quanti ragazzi, che  come mi disse una volta un vecchio compagno “strappano la vita”, ci sono?

Questo strappare la vita è parte della repubblica fondata sul lavoro? Noi non possiamo dire nulla?

Il ragazzo che ha puntato a riaprire una bottega di falegnameria sulle fondamenta nuove ci prova a “vivere” qui con la sua bottega, ma come lui dice, non a noi ma sul quotidiano di Zurigo (Neue Zürcher Zeitung), prova a far rivivere la città ed i mestieri, ma non può permettersi di viverci con la famiglia.

Concludo con la fine dell’articolo dello stesso quotidiano dove viene citato tra l’altro un nostro giovane iscritto Marco Caberlotto  che chiede un intervento  sul tema residenzialità, turismo, dignità di vita e dice “Non si può in alcun modo evitare una terapia d’urto. Se il comune, la regione o lo stato non reagiscono Venezia morirà. Noi possiamo entrare nella storia come esempio tragico oppure come modello per altri“.

Cosa ci succede  non possiamo e dobbiamo proprio fare nulla?

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