Il Pianeta delle scimmie

di Cino Casson

Nell’ultima settimana due reti televisive hanno riproposto dei film dedicati alla saga del “Pianeta delle Scimmie”. E mi è tornato un pensiero che, periodicamente, riaffiora: non sono film di fantascienza; il pianeta delle scimmie esiste ed è quello sul quale viviamo.

La grande democrazia americana ha eletto presidente un pletorico scimmione con un gatto rosso in testa. Il suo antagonista più appariscente, il “caro leader” della Corea del Nord, è uno scimmiotto dall’acconciatura ugualmente ridicola, che, talvolta, cela sotto una improbabile bombetta. Due mentecatti che ostentano, fallicamente, la lunghezza dei loro missili atomici.

La Russia è in mano di uno spietato gorilla, l’India ha appena rieletto trionfalmente un primate che ricorda le moleste scimmie del Libro della giungla” di Kipling.

Nell’ Africa sub sahariana è un pullulare di tribù scimmiesche, capitanate da feroci “maschi Alfa”; più a nord andiamo dall’Egitto governato da babbuini con le stellette alla Libia, dove si fronteggiano due grossi gibboni, uno bellicoso, l’altro insulso; nel medio Oriente non si sa se sia più scimmiesco Netanyau o Assad; e i teocratici scimpanzè iraniani? E l’orango turco?

Di là dell’Atlantico, nell’America centro-meridionale, la tradizione atavica dei “caudillos” sforna in continuazione scimmioni di destra e di sinistra, a volte svegli come Chavez, più spesso cretini come Maduro. Tutto sommato ce la passiamo meglio nella vecchia Europa, dove amadriadi come Orban e bertucce come Kaczynski sono bestie rare e contano poco.

E in Italia? Un bello zoo, anche da noi. Evito i nomi, non mi sembra che i nostri governanti apprezzino la satira, ma non mancano gorilla, macachi e parecchi lemuri (proscimmie). Eppure questi pitecantropi non starebbero dove sono se non avessero dalla loro parte la maggioranza del “popolo sovrano”. Che agisce e vota esattamente come le scimmie, per impulso. Hai fame? Mangi. Ti prude? Ti gratti. Hai voglia? Scopi la prima che ti capita. E se non vuole, la violenti.

E voti Lega perché ti stanno sul cazzo i neri, i musulmani, gli omosessuali, i Rom. Perché tu sei bianco, cattolico (ma Bergoglio non ti piace proprio), eterosessuale, razza Piave. Cioè sei meglio, sei giusto.

E voti 5 Stelle perché ti promettono il corrispettivo di un basso stipendio solo che tu lo chieda. E credi sul serio che il taglio delle pensioni dei parlamentari copra la spesa. E sei una scimmia, che mangia strappando la banana a un’altra scimmia più debole, che si gratta, che salta addosso alla prima bertuccia che trova. E sei una scimmia che, siccome esiste, deve avere da mangiare e chissenefrega se altre scimmie crepano di fame. Non vuoi sentire discorsi di compatibilità economiche, di conti in ordine, di rispetto dei vincoli europei o anche solo dell’aritmetica. Sono quei bastardi elitari, quei “radical chic”, quei “comunisti con il Rolex”, amici delle banche, nemici del popolo, che ti hanno infinocchiato fino a quando non sono arrivati il Capitano e Giggino Casaleggiov, che finalmente ti hanno aperto gli occhi e ridato i tuoi diritti. Puoi andare in pensione a sessant’anni (e metterti a lavorare in nero), puoi prendere il reddito “di cittadinanza” e rifiutare due volte offerte di lavoro (se i “navigator” te le propongono, campa cavallo …), puoi sparare a chiunque ti entri in casa o in negozio, anche se è il postino che, casualmente, ha in mano un pacchetto con un phon, puoi rifiutarti di dare il posto in autobus a una nera incinta … Puoi, cioè, comportarti come una scimmia senza vergognarti.

Anche le scimmie hanno ragione, se sono maggioranza, se sono “il popolo”. C’è ancora chi crede che “popolare” sia sinonimo di “buono”, povero Bersani … Non è così; non è mai stato così.

Il “popolo della sinistra”, quello che adorava – giustamente – Berlinguer, non coltivava buoni sentimenti verso i “negri”: non li odiava perché non c’erano. E se si parlava di “zingari” o omosessuali … dovevate ascoltare cosa usciva da quelle bocche …

Non sono mai stato “radical”, forse, da giovane, sono stato un po’ “chic”, ero uno dei pochi, tra i miei coetanei, che possedeva due vestiti invernali, un completo e uno spezzato, due cappotti e un “trench”, due completi estivi, fatti dal sarto … Non sono mai stato comunista e non ho mai avuto un Rolex … sicuramente sono un po’ snob perché il Rolex mi sembra pacchiano. Avere un discreta cultura, parlare e scrivere in buon italiano, leggere tre/quattro libri al mese mi iscrive, d’ufficio, alle élites? Briatore fa parte delle élites senza leggere. Preferisco Calenda.

Dovremmo smetterla di dividere i cittadini in popolo ed élites e dividerli, piuttosto, in chi ragiona e chi agisce per impulso. Il popolo è sempre stato più impulsivo che razionale.

Oggi il popolo sembra riconoscersi nei Salvini e Di Maio, certo non grandi tempre di ragionatori. Eppure questo stesso popolo votava per Berlinguer, per Amendola, per Ingrao, ma anche per Moro: politici che seguivano la testa, non la pancia.

Il popolo, allora, riconosceva nei leader politici la conoscenza dei problemi, ascoltava ragionamenti che, magari, istintivamente non comprendeva e non condivideva, ma che riconosceva autorevoli.

L’elettore “comune” era consapevole che “uno NON vale uno”. Di fronte alla complessità accettava di non potersi mettere sullo stesso piano dei leader politici e degli intellettuali, quelli che oggi chiama, con disprezzo, “professoroni”. Figuratevi quanto potevano capire, gli operai e i braccianti comunisti dell’eloquio raffinato di Concetto Marchesi … ma avevano rispetto della cultura e lavoravano duro per permettere ai loro figli di studiare, come insegnava Di Vittorio. Perché solo la cultura può far acquisire il senso della tolleranza, dell’accettazione del diverso, dell’eguaglianza non disgiunta dal merito, non sono “basic instinct”.

Con tutti i vizi che ha avuto la politica della “prima repubblica”, con la diffusa corruttela, con le ingiustizie sociali, mai la DC, il PCI, il PSI hanno esaltato l’ignoranza.

Ha cominciato Berlusconi, che ha esibito la sua ignoranza, il suo pressapochismo, la sua mancanza di etica pubblica (della moralità privata possiamo anche dimenticarci) a diffondere, con la pervasività del mezzo televisivo, la perversa idea che non solo Milano, ma l’Italia, l’Europa, il mondo, fossero “da bere”.

Dopo è arrivato Grillo, che ha urlato che bastava mandare tutti affanculo per cambiare il mondo (o, almeno, l’Italia). E, siccome un vaffanculo sono capaci di dirlo tutti, molti hanno creduto che fosse “democratico”. Gianroberto Casaleggio, un mattoide con sprazzi di genialità, ha lanciato il motto “uno vale uno”, che ha avuto grande successo soprattutto tra quelli che valgono zero. E che sono tanti.

La crisi economica, facendo crescere l’insicurezza, la paura del futuro, la perdita del lavoro, la diffidenza verso l’altro, che potrebbe sottrarti parte della tua magra razione, ha costituito l’habitat ideale per la diffusione dei messaggi semplici – e semplificatori – dei populisti. Chi vive in condizioni di tranquillità economica può permettersi la riflessione, chi sta peggio non vuole ragionamenti, vuole sentirsi dare ragione. E, poiché gli immigrati, i rom, gli omosessuali continuano a stargli antipatici e non ha più fiducia nelle élites, va dietro al tracotante Salvini e al pretino Di Maio (ho scritto pretino, ma se qualcuno cambia iniziale, va bene lo stesso), che gli dicono quello che vuol sentirsi dire: che il popolo è sano e le élites sono marce.

Salvini sa benissimo (Di Maio no) che nessun grande mutamento è avvenuto senza delle élites che hanno guidato i processi storici, ma finge di crederci; Di Maio magari ci crede (ed è una aggravante, i cretini in buona fede sono peggio dei cretini malfidenti).

E, allora, si scatenano le scimmie rasate che escono dagli stadi e invadono le periferie incitando alla rivolta contro gli immigrati, i rom, tutti i “diversi”, i mandrilli in calore aggrediscono la prima che incontrano, i macachi analfabeti menano i professori, le bertucce sottosegretarie sbeffeggiano “questo lo dice lei” i competenti.

E i “nostri” non hanno colpe? Ma certo, ne hanno, e risalgono a ben prima di Renzi.

La prima è stata aver accettato senza critiche tutti i frutti della globalizzazione e del neoliberismo (che ne hanno prodotti anche di molto positivi); ve lo ricordate l’elogio di D’Alema dei “capitani coraggiosi”? Capitani o pirati?

La seconda aver sottovalutato – o addirittura irriso – le preoccupazioni e le paure dei ceti medio-bassi che si sentivano – e in parte erano – sull’orlo del passare ai gradini più bassi; nessuno ha avuto il coraggio di zittire la signora Camusso quando ha detto che sopra i 3000 euro lordi al mese si è “ricchi”; pochi hanno capito che nelle periferie degradate i discorsi sull’accoglienza valgono molto meno di interventi di manutenzione delle strade, che puoi stigmatizzare come maiali quelli che buttano i rifiuti nelle strade se il Comune le tiene pulite, che puoi far accettare – e anche imporre – le case date ai Rom se tutti hanno una casa e se l’autorità pubblica caccia quelli che occupano abusivamente.

Non si può pretendere rispetto delle regole se l’autorità pubblica chiude gli occhi di fronte alle violazioni e, al tempo stesso, non agisce per garantire i diritti. Nelle periferie si deve operare tramite i servizi: trasporti efficienti, scuole e asili pubblici, vigilanza urbana. Ai Parioli se chiude un asilo nemmeno se ne accorgono, mandano i figli a quelli privati, a Tor Qualcosa le madri non possono lavorare se non sanno dove mandare i figli. Se la metropolitana non funziona ne soffrono i pendolari, che tornano a casa tardi, incazzati (e magari menano la moglie) e se la prendono con gli immigrati disoccupati (che magari aspettano da due anni la regolarizzazione).

Insomma, per non farla troppo lunga, lo stato (il comune, la regione, la pubblica amministrazione in senso lato) deve funzionare e – come dice la Costituzione – rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza. Senza trascurare, anche, quello che la Costituzione dice al successivo articolo e, cioè, che ogni cittadino ha il dovere di svolgere una attività o una funzione che concorra al progresso della società.

Diritti e obblighi, il pianeta degli umani è questo, un luogo dove si rivendicano diritti (diritti veri, non desideri) e, in cambio, si accettano alcuni sacrifici.

Diritti e nessun obbligo, questo è il pianeta delle scimmie, un luogo dove chi è più forte si prende i suoi diritti (e anche qualcosa in più) e non sacrifica nulla.

So che agli utopisti questo non basta, lo considerano soltanto buona amministrazione. Preferisco buoni “cugini” che sanno guidare bene e mi portano, sano e salvo, da casa al lavoro a “fratelli” che mi portano alla “felicità” correndo sulla litoranea, mentre a me piace di più la montagna; i miei desideri preferisco soddisfarli da me.

Non ho mai amato molto gli esseri umani e l’età ha accentuato certamente la mia misantropia. Ancora meno, però, amo le scimmie.

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