di Ugo Trivellato
Dopo mesi tormentati in cui la famiglia gli è stata quotidianamente vicina, almeno finché è stato consentito, Marino Cortese ci ha lasciato. Provo a rivedere la trama della sua vita pubblica, ma subito si accavallano i ricordi di una lunga, forte amicizia. Ai ricordi metto qui la sordina. Cerco piuttosto di cogliere tratti distintivi del carattere, della cultura, dello stile di vita che hanno contrassegnato l’intera esistenza di Marino, tratti che consentono poi di ripercorrere e collegare i grandi filoni del suo impegno pubblico.
Marino si forma nel clima del cattolicesimo democratico veneziano, nel decennio a cavallo fra gli anni ’50 e ’60. È una clima speciale sotto il profilo religioso. Dal 1953 al ’58 è Patriarca Angelo Roncalli, poi Papa Giovanni XXIII, e nella diocesi veneziana prende sommessamente avvio quel rinnovamento pastorale nel segno dell’ecumenismo e del dialogo con “tutti gli uomini di buona volontà” che sboccerà nella stagione conciliare. Vitale è poi, l’esperienza della fuci (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) veneziana, che nel panorama di allora si distingue per apertura: il riferimento è al movimento personalista di Jacques Maritain e di Emmanuel Mounier, per il quale la partecipazione alla vita civile assume la forma di autonomo impegno di (non dei) cattolici. In quegli stessi anni, la giovane sinistra democristiana, alla quale Marino aderisce, assume la guida della dc provinciale – gli uomini di spicco sono Vincenzo Gagliardi e Wladimiro Dorigo –, che definisce progetti di sviluppo della città lagunare e del suo entroterra e, in anticipo con quanto avverrà a livello nazionale, avvia l’apertura ai socialisti con l’esperienza “formula Venezia”.
È questa l’aria che Marino Cortese respira, questo è l’ambiente nel quale matura, con convinta adesione ai suoi valori fondanti. All’adesione Marino affianca la partecipa attiva e aggiunge l’assunzione di ruoli-guida: non per determinazione nel cercarli, ma per immediata autorevolezza. Studente di economia, diventa ‘Doge’. Così si chiamava a Ca’Foscati il presidente dell’organismo rappresentativo degli studenti: un’esperienza di democrazia che si avviava in quegli anni. Gli organismi di ateneo avevano una rappresentanza nazionale, l’unuri (l’Unione nazionale studentesca rappresentativa italiana), della quale Marino è per un paio d’anni consigliere. Poco dopo è segretario provinciale del Movimento giovanile della dc.
Il profilo culturale e politico di Marino prende così forma. È alimentato da un lato dai fondamentali della sua formazione – rigorosa etica pubblica, costante riferimento a mete di bene comune, impegno e competenza – e, dall’altro, dalla prospettiva disincantata con la quale guarda allo svolgersi dei processi sociali, dei quali riconosce le inerzie e gli ostacoli che si frappongono al ‘cambiare migliorando’. Una prospettiva, questa, che trae dalle molte letture di storia. Ne viene un singolare impasto di nitida vocazione riformatrice e di lucido realismo. Sin dalle esperienze giovanili, Marino batte il sentiero del ‘riformismo possibile’, che continuerà a percorrere per l’intero arco dell’impegno pubblico. Nel dibattito culturale e politico emerge per l’argomentare acuto e pacato, che dipana i nodi in modo stringente, reso più persuasivo dalla ricchezza del lessico e dalla sottile ironia. E si impone come politico misurato, mai spigoloso, mai sopra le righe. Peraltro, tutt’altro che arrendevole, tenace negoziatore di mediazioni (che ama distinguere dai compromessi).
Laureato in economia e commercio, Marino ha una breve esperienza professionale all’irsev (l’istituto regionale di studi economico-sociali del Veneto) e si sposa con Maria Sarpellon, inseparabile, intelligente e silenziosa compagna con la quale avrà tre figli. Nel 1970, alle elezioni che segnano l’avvio delle Regioni a statuto ordinario, è eletto consigliere della Regione del Veneto: l’impegno politico-amministrativo si fa assorbente e tale sarà per oltre vent’anni.
Consigliere regionale dal 1970 al 1987, Marino è partecipe, e tra i protagonisti, della stagione del regionalismo: dalle aspettative dello ‘stato nascente’, intorno alle idee-guida di una democrazia più articolata e della programmazione dello sviluppo, alla prosa delle realizzazioni. Presidente della Commissione per lo Statuto, imprime un’impronta duratura al profilo istituzionale e al modus operandi della Regione. Lo Statuto, elaborato con la consulenza di Feliciano Benvenuto e di Franco Bassanini e approvato nel maggio 1971, si distingue per il ruolo che vi hanno gli enti locali e per la disciplina del processo di programmazione. Il tema della programmazione resta dominante per Marino, a lungo membro della Giunta regionale, per larghissima parte come Vicepresidente con delega al Bilancio e Programmazione. La Regione è poi tra gli interlocutori del Parlamento nell’elaborazione delle leggi speciali per Venezia del 1973 e del 1984, seguite all’“aqua granda” del 1966, e Marino ne è la voce più appassionata e autorevole.
Dal 1987 al 1992 Marino è Senatore della Repubblica. È membro della Commissione Bilancio e Programmazione e della Commissione bicamerale per le questioni regionali. L’esperienza nella Commissione Bilancio, a fianco di Beniamino Andreatta, segnatamente nell’annuale processo di definizione della legge di bilancio, è particolarmente istruttiva – gli amici hanno ben presenti i suoi vivaci, elaborati racconti – e ne arricchisce le competenze in materia di contabilità e finanza. Gli ulteriori impegni restano focalizzati sulle questioni regionali e sulla “salvaguardia di Venezia e il suo recupero architettonico, urbanistico, ambientale e socio-economico”, per la quale contribuisce a formulare le leggi speciali del 1991 e del 1992.
Con l’approssimarsi della conclusione del mandato di senatore gli incarichi politico-amministrativi di Marino si concentrano su Venezia: dal 1990 al ’93 è consigliere comunale e dal 2000 al 2003 è assessore alla Cultura e al Turismo. E prende progressivamente corpo il suo impegno in istituzioni culturali. Per Marino è una sorta di ritorno a casa, nel duplice senso di una presenza continuativa a Venezia (dove, peraltro, ha sempre abitato) e di un ripresa degli interessi storico-culturali, sempre coltivati e non più compressi dall’attività politica. C’è la dimensione personale, con l’amore per la storia di Venezia: quella della Serenissima, ricca di insegnamenti sull’arte del governare, ma anche la storia economica e urbanistica della Venezia dell’’800 e della prima metà del ’900. E c’è la presenza in molteplici istituzioni culturali, per la quale Marino fa tesoro delle competenze maturate in campo economico-finanziario. Con una varietà di incarichi dei quali ricordo soltanto i più significativi: nell’Università Internazionale dell’Arte (presidente, dal 1992 al ’95), nella Società Veneziana dei Concerti, nella Fondazione Levi, dell’Istituto Musicale Gianfrancesco Malipiero, nella Fondazione Cini (vicepresidente, dal 1997 al 2001). Soprattutto, è presidente della Fondazione Querini Stampalia, dal 1999 al 2001 e poi dal 2004, e alla Querini, preziosa tra le istituzioni veneziane, si dedica con passione, acume e generosità, fino agli ultimi giorni di attività.
Taccio degli incarichi, negli “anni verdi” e negli ultimi due decenni, in organismi della Chiesa veneziana. Non soltanto per discrezione, quanto, e soprattutto, per rimarcare un tratto della cultura di Marino: l’essere profondamente cristiano e, insieme, profondamente laico, aperto al dialogo con tutti sul comune terreno della costruzione della città dell’uomo.
Marino Cortese lascia un grande vuoto nella politica e nella cultura, in particolare in quella veneziana, e soprattutto nel cuore degli amici. Le eccezionali circostanze che stiamo vivendo costringono a un saluto discreto, permeato di riconoscenza e di affetto.